11.La missione in Brasile

12.Un transito sereno

La città di Pittsburg – Pensylvania

L’ultimo giorno di Florenzia

Quella del martedì, 21 febbraio 1956, fu la giornata fatidica. Pioveva e vi era umido e freddo. La mattina Florenzia non se la sentì di alzarsi per sedersi sulla sua poltrona come faceva sempre, ma rimase a letto. Questo fu il segnale che soffriva molto e le forze la sorreggevano sempre meno

, anche se lei alle domande di come si sentisse rispondeva sempre “bene”. Chiese di parlare con don Traiano, il cappellano dell’istituto, ma questi era fuori sede e così suor Pia pensò di far venire il parroco di Nostra Signora di Guadalupe, che era la loro parrocchia e distava dalla casa un paio di centinaia di metri. Don Paolo arrivò subito e Florenzia fu contenta di vederlo.

Il parroco volle somministrarle il viatico, anche se Florenzia appariva serena nel volto, parlava e non manifestava nessun segno di crisi grave. a voce alta e chiara.

Intorno al letto le suore, che nel frattempo, dopo la confessione erano sopraggiunte, prendendo posto nella stanzetta o sostando nel corridoio dinanzi alla porta, impietrite dal dolore, seguivano ogni suo movimento e ogni sua parola. Florenzia recitò alcune preghiere insieme al parroco, da sola ridisse la preghiera a Gesù crocifisso “Anima Christi”. Poi ripeté più volte: “Nel bel cuore di Gesù che mi ha redento, in pace io riposo e mi addormento”. Quindi, col suo solito sorriso, si fece aiutare a mettersi seduta nel letto e si mise a conversare col parroco chiedendogli perché da un po’ di tempo non invitava le sue suore ad andare in parrocchia e, in particolare, perché non le aveva invitate alla solenne festa dell’incoronazione della Madonna. Però, sia perché parlava piano, sia perché incespicava un po’ nelle parole, non si capiva tanto bene quello che diceva.

Si erano fatte già le 12,30 e, mentre conversavano, il parroco chiese se voleva amministrato quello che oggi si chiama sacramento dell’unzione degli infermi e che allora era conosciuta come estrema unzione. Florenzia acconsentì sorridendo, seguì attentamente tutta la cerimonia, vi partecipò con devozione, rispondendo “Amen” con voce chiara. Le suore, con il cuore straziato, seguivano i minimi movimenti della Madre, che in viso era serenissima.

In questo intervallo, arrivò anche il medico curante che le auscultò il cuore, disse che era un po’ debole, ma che non c’era una vera gravità, e andò via. Il parroco, a questo punto, volle darle anche la benedizione papale e, nell’atto che Florenzia ebbe Gesù crocifisso fra le mani, lo strinse forte e, a voce alta e chiara, disse: “Gesù, Gesù mio” e baciò il crocifisso con trasporto. Lo consegnò poi nelle mani del parroco, che lo posò sul tavolo, e ancora a voce alta disse: “Gesù, Gesù mio, Gesù bello”.

Quindi, rivolgendosi alle suore, disse: “Perdono tutte le suore, anche le più discole e benedico di cuore le vicine e le lontane”. Stette un po’ di tempo in silenzio, ringraziò don Paolo e questi, vedendo che stava benino, andò via. Erano le 13,30 e si era trattenuto per circa tre ore.

Le suore passarono il pomeriggio tutte intorno a Florenzia e – vedendola serena e attenta, come al solito, alla conversazione – si interrogavano perché mai il parroco avesse voluto amministrarle l’estrema unzione.

A un tratto esclamò: “Le forze mi vengono meno”. Subito suor Pia accorse e a stento le due suore la sorressero per fare quei pochi passi dalla poltrona al letto. Nell’attimo di mettersi a letto, Florenzia si sconvolse in viso e, mentre le suore cercavano di farle prendere la posizione più giusta che la aiutasse a respirare, chiuse per sempre gli occhi. Erano le 21 precise del 22 febbraio 1956, l’orario in cui, in quel periodo dell’anno, la comunità andava a riposare. Subito accorsero le suore che si inginocchiarono intorno al letto e pregavano e piangevano. Accorse anche don Traiano per l’ultima benedizione e anche lui si raccolse in preghiera.

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